MARCO ONOFRIO
“Luce del tempo” Passigli 2024
nota di lettura di Chiara Mutti

 

Voce poetica potente, quella di Marco Onofrio, in continua e costante crescita e, al contempo, saldamente coerente con sé stessa e con i propri ideali, qualità d’altra parte che gli amici possono facilmente riscontrare anche nell’uomo, oltre che nel poeta.

Addentrarsi in questa nuova raccolta di poesie di Onofrio significa dunque affrontare i temi cardine della sua poetica, mantenendo sempre alta l’attenzione sui grandi interrogativi della vita superando o costeggiando di continuo i limiti espressivi della parola. E già l’esordio ci svela la capacità del poeta di vedere e sentire oltre: le sculture del pensiero, il pianto dei boschi, l’odore dei fulmini, la necessità di esprimere l’assente. È la risposta o il tentativo di risposta alla condizione dell’uomo e del suo viaggio: anima errante, alla ricerca perenne di una risposta al mistero della vita. Vita che non ci consola, ma che pure è il nostro dono più prezioso: E ci siamo ancora, nonostante tutto / siamo noi il presente e ancora Ma nonostante questo / siamo vivi. Preme costantemente il senso dell’inafferabilità del tempo e il sentimento di pietà per il passato, destinato a scivolare inesorabilmente verso il nulla, la paura dell’oblio.

Nei libri di poesia di Onofrio nulla è lasciato al caso, il discorso poetico si dipana, come un filo, da una poesia all’altra, in un flusso continuo di coscienza o, se vogliamo darne un’immagine più organica, come le onde prodotte, in uno stagno, da una pietra lanciata, che si allargano in cerchi sempre più ampi ma sempre riconducibili a quell’unica sorgente originale da cui sono partite e che costituiscono il tema centrale del libro: la luce.

Così, seguendo quest’idea di continuità di senso, nelle pagine successive Onofrio ci offre due liriche dedicate all’infanzia, vista come scrigno di antiche felicità perdute, dove tutto è ancora “in fieri”, tutto ancora possibile, uno stato di grazia capace di regalarci il senso dell’immortalità: l’estate infinita / e incorruttibile durava / oltre la morte / fuori dalla sua portata.

Ma se questo mondo ideale è destinato a svanire, non più recuperabile, e con lui lo sono tutti i nostri più genuini ideali, allora sembra divenire superfluo perfino questo nostro venire al mondo, questo instancabile dibattersi inutilmente nel vuoto. è la vanità del tutto che ci fa smarrire sia i sogni, sia le intenzioni nella più disarmante tristezza. C’è una sorta d’insistenza nel volersi proiettare verso un aldilà immaginifico e ricco di percezioni sensoriali e visive – quasi un’anticipazione della propria morte, una forma di ostinata volontà di esorcizzarla. Sarà con le bellissime dediche in ricordo del padre e dell’amata madre che, a mio avviso, l’autore riesce a rendere in modo esemplare questo senso di struggimento per la perdita. Il rapporto filiale però non si interrompe con l’assenza fisica, ma continua in una specie di presenza costante che può essere percepita in tutte le cose, che si cela nel cuore e che non andrà perduta, anche grazie agli insegnamenti ricevuti che si perpetuano di padre in figlio/figlia.

Il destino del poeta è tutto in questa capacità di comprendere la verità, di vedere il nulla celato dietro le apparenti consolazioni, l’intrinseca e terribile solitudine della condizione umana. Ma proprio arrivando al fondo dell’apparente sconfitta esistenziale, Onofrio chiude il cerchio, torna al suo punto di origine e ci rammenta l’innata capacità dell’uomo di rinascere dalle sconfitte e quella delle cose di rigenerarsi attraverso la luce: Le vecchie cose, risanate e nuove / sorgono dalla polvere / e riempiono il vuoto / della forma invisibile / che avevano un tempo.

Un posto speciale è tutto dedicato all’amore, complice della resurrezione, amore che risana e salva, e alla figura della donna: donna amata e animante, veicolo di senso, fonte di gioia e felice godimento dei sensi, vita, essa stessa, che dona vita. Esiste poi, nei libri di Onofrio, che sia prosa o poesia, un posto sacro dedicato al sogno, e sono scene di situazioni esilaranti o paradossali, ma anche ricche di messaggi psichici e simboli rivelatori. E quindi la presenza dell’invisibile: dei corpi che sono e non sono più, della Storia, ove tutto si costruisce e si disfa ogni momento, o la presenza ingombrante della morte, terrifica ma unica certezza in questa vita.

E poi il sentimento eterno per la bellezza della natura che ci circonda, oserei dire che ci attornia, ci si stringe intorno, che l’autore sa esprimere con efficacia poetica senza eguali. In particolare quel momento sacro tra la notte e il primo baluginare delle stelle, tra la fine della notte e il primo chiarore dell’alba, che in certi componimenti diventa presagio, senso d’imminenza, Sol Invictus.

E nell’eterno spettacolo del mondo, di tenebre, silenzio, volte stellate ineffabili che presagiscono il ritorno della luce, noi ci specchiamo continuamente, a nostra volta in perenne divenire, terminare e rinascere, anima copia speculare del cielo. In questo senso torna spesso, se non in modo costante, nelle poesie di Onofrio, tra gli altri innumerevoli colori presenti (e non potrebbe essere altrimenti essendo essi stessi frutto dell’interazione della luce con la materia) il colore azzurro, non solo titolo emblematico della precedente raccolta Azzurro esiguo, Passigli 2021, ma in moltissimi componimenti, fin dal primo, di questa raccolta: I monti azzurri tremano lontani… azzurro era il colore del tuo treno… l’azzurro è affollato di anime… i boschi verdazzurri… mi andavo abbandonando nell’azzurro… adesso io guardo lo stesso azzurro… come paranze ferme nell’azzurro… questo buco azzurro senza fine… nasce un’alba azzurra dal dolore… azzurre traversate oceaniche… l’azzurro ci protegge dall’errore… promettimi l’azzurro, quando non turchese, indaco o blu: color del cielo diurno – respiro amante e animante – ma ancor di più colore del mare, padre Mediterraneo amatissimo, e ancora simbolo di trascendenza, stabilità e idealismo e, per ultimo ma non ultimo, colore (biancoceleste) della squadra del cuore.

Vivida e potente è questa corrispondenza continua, tra il cosmo e noi, tra il dentro e il fuori, in un gioco continuo di specchi e di connessioni, nella ricerca continua, anche se mai paga, della verità – che apprenderemo solo morendo – nella consapevolezza del vuoto che incombe e inghiotte tutte le cose, nella certezza della Rinascita, nella gioia per la pienezza della vita, nella luce eterna del tempo.

Marco Onofrio è nato nel 1971 a Roma, dove vive e lavora. Scrittore, saggista, poeta, critico letterario, ha pubblicato 46 libri – tra cui 16 opere poetiche – con cui ha vinto decine di premi letterari nazionali e internazionali. È tradotto e pubblicato in 5 lingue. Di lui si è parlato, con recensioni e segnalazioni, su numerose testate giornalistiche, tra cui «Corriere della Sera», «la Repubblica», «Il Tempo», «L’Unità», ecc. Ha partecipato come ospite a trasmissioni radiofoniche e televisive di carattere culturale presso la RAI, emittenti private e web radio. Svolge attività di consulente editoriale, recensore, ideatore e organizzatore di eventi culturali. Ha collaborato come autore e critico a blog letterari, riviste e quotidiani. Attualmente è membro del “Gruppo dei Romanisti” (cultori storici di Roma), caporedattore della rivista trimestrale “Lazio ieri e oggi”, direttore artistico del Festival poetico “Visioni”, presidente del Premio letterario nazionale “Moby Dick”, presidente del Premio letterario internazionale “Ibn Hamdis”, vicepresidente del Premio letterario internazionale “Roberto Farina”, membro di giuria premi internazionali di poesia giovanile “Masio Lauretti” e “Mario Clementoni”, nonché  autore e amministratore del blog letterario “Del cielo stellato”. Sito internet: marconofrioscrittore.wordpress.com

Chiara Mutti è nata a Roma il 3 gennaio 1964, vive a Tivoli e lavora al Ministero della Cultura in qualità di funzionario per le tecnologie. Tra i premi per poesia singola, ricordiamo il Premio della critica al Concorso Internazionale di Poesia ‘Il Saggio, città di Eboli’, 2009; il 1° Premio al concorso dedicato a Pier Paolo Pasolini, “Autori di vita”, 2010; seconda classificata, al Premio “Giorgio Belli”, 2011; il Premio della Giuria al “Don Luigi di Liegro”, 2012; il 1° premio, vincitrice assoluta, al Premio Letterario Nazionale ‘Moby Dick-Danko’, 2021-22. Tra i premi di poesia edita il Premio della Giuria al “Roberto Farina”, 2014; il Premio speciale della Presidenza al “Lago Gerundo”, il “Trofeul de Excelenţă” al Festival Internazionale “Europoesia” di Brăila-Cahul (Romania-Moldavia), il primo premio “Roberto Farina”, 2019, il Premio Speciale Giunone Sospita al Premio Letterario Internazionale ‘Antica Pyrgos, 2020, il Premio Tulliola Renato Filippelli: terza qualificata, Ha pubblicato le raccolte poetiche La fanciulla muta, Scatola nera, tradotto nel 2018 in rumeno a cura di Simona Stancu per i tipi Editura Anomis, Archeologie del cielo, Terra d’ulivi editore, 2019 e l’edizione francese di alcune poesie scelte, a cura di Auriane Sturbois, dal titolo Murmures per le collezioni bilingue RAZ Éditions. Ha inoltre pubblicato i Libri d’artista Costellazioni e Sussurri, per i tipi La_lineaartecontemporanea, Roma, testo di Chiara Mutti e opere grafiche di Virginia Carbonelli e il libro di racconti brevi Amen, casa editrice EdiLet, Edilazio letteraria, 2023 con il quale si è classificata seconda al premio letterario nazionale Equilibri, IV edizione, 2024. Come fotografa ha esposto alla “Galleria il Marzocco” di Roma, al “Lavatoio Contumaciale” di Tomaso Binga, Roma, e al FotoFilmFest di Bracciano (RM).