Tra le recenti proposte della collana Kylix 41 di Crocetti, la silloge di Ruy Duarte de Carvalho Terra mi sembra una delle più interessanti. L’autore di questa raccolta è un poeta portoghese di lingua, ma angolano per vocazione. Nato a Santarém (Portogallo) nel 1941, trascorre infanzia e adolescenza nella regione del Namibe, nel sud dell’Angola e nel 1975 chiede e ottiene la cittadinanza angolana; la regione angolana di adozione diventerà lo spazio di riferimento e la fonte di ispirazione di quella attività letteraria e cinematografica, che farà di lui una delle voci più rappresentative dell’Africa contemporanea. Nel 1972 debutta con Chão de Oferta (in it: Terra di offerta), la sua prima silloge di poesia. Due anni dopo crolla il regime salazarista, anche a causa della sua anacronistica ostinazione nel cercare di mantenere in vita un impero decadente, ricorrendo alla ferocia delle guerre coloniali per arrestare un processo di decolonizzazione già completato nel resto del continente. Da poeta, antropologo e, prima ancora, perito agrario, Duarte ha avuto la possibilità di osservare i gesti e le capacità di uomini e animali impegnati nel lavoro della terra, il “bestiame sacro” che fornisce “la carne e il latte”, gli eventi climatici.
Il volume, a cura di Livia Apa, propone un’ampia selezione dalle 13 raccolte di poesia pubblicate dal 1972 fino al 2000 realizzata dall’autore e uscita nel 2005. Al di là delle premesse ideologiche e delle posizioni politiche dell’autore, il lavoro in questione propone non solo un punto di vista inedito e interessante sulla scrittura poetica, ma anche alcuni testi letterari di primissimo piano, che meritano tutta la nostra attenzione.
Tra tutti, quello che mi è sembrato il più interessante è Arte poética, un lungo componimento in quattro sezioni, le prime tre in prosa e la quarta in versi, che porta un suggestivo sottotitolo: Aprendizagem do dizer festivo (in it.: Apprendimento del dire festivo).
Se il titolo suggerisce una dichiarazione di poetica, o almeno una presa di posizione in merito alla “tradizione della poiesis”, l’andamento del componimento invece amplia il discorso fino a ricomprendere l’intera ontologia del testo. “Um texto é como un esforço de existir” (in it.: “Un testo è come uno sforzo di esistere”) dichiara l’autore. Che non può prescindere dal linguaggio e dalle sue regole:
“Em busca das coordenadas recorro diligente à pauta de un compasso para saber no texto em que me inscrevo o que se sabe do que havia jà, as leis que alguma angùstia desvendasse, o legado da argùcia, a vocação da pausa”
“Alla ricerca di coordinate ricorro diligente al passo di una misura per sapere nel testo in cui mi inscrivo quello che si sa che c’era già, le leggi che svelano forse una certa angoscia, il retaggio dell’arguzia, la vocazione di una pausa”
Evidentemente quando Ruy Duarte de Carvalho parla di Arte poética, lo fa a ragion veduta. Il suo punto di vista, ovvero quello di un poeta lusofono africano, gli permette di osservare la semiosfera del testo poetico da una prospettiva molto più vasta, a partire proprio dal meraviglioso incipit:
“Atento, desde sempre, às falas do lugar, nada sei dos sinais se os não confirmo no encontro da memória com a matriz, quando a carência impõe esforços de equilíbrio não entre o corpo e as formas que o sustêm mas entre as margens de uma paragem breve”
”Attendo, da sempre, alla parola dei luoghi, non so niente dei segni se non li confermo nell’incontro della memoria con la matrice, quando la mancanza impone sforzi di equilibrio non tra il corpo e le forme che lo sostengono, ma piuttosto tra le sponde di una breve sosta”.
Questa dichiarazione con cui l’autore apre il poema merita una più attenta riflessione. La poiesis, secondo Ruy Duarte de Carvalho, nascerebbe non dai segni (linguaggio), bensì dalla conferma “nell’incontro della memoria con la matrice”. Nella tradizione europea questo luogo è indicato con la misteriosa e ambigua parola: “inconscio”. Che naturalmente si presta a molte declinazioni (archetipo? “Idea innata”? Derivazione dell’anima di classica memoria?). Nulla di tutto ciò per il poeta africano lusofono. Il quale sempre piuttosto propendere verso una categoria del pensiero ancestrale e ontologica, che non avrebbe bisogno di dimostrazioni e spiegazioni. Il nucleo del “fare poetico”, secondo il poeta angolano, si identificherebbe piuttosto con un processo che scaturisce dal suono delle parole stesse:
“O curso das palavras, a esteira do seu eco, os sons e os gestos seguidos uns aos outros, um som que pede um som e essa resposta é já um bolbo de emoção autónoma, para florir madura, à revelia da intenção primeira”
“Il corso delle parole, la scia della loro eco, i suoni e i gesti seguiti gli uni agli altri, un suono che chiede un suono e la risposta è già un bulbo di emozione autonoma, per fiorire matura, senza una intenzione prima”.
Una dichiarazione di poetica che, evidentemente, prescinde dal trascendente, ma che si riconnette, in qualche modo, alla tradizione europea per un’altra via.
“Uma questão de sons, de gestos repartidos, mas já numa cadência que depois está lá. A coerência a haver a comandar o ritmo e a garantir a forma”
“Una questione di suoni, di gesti ripartiti, ma già in una cadenza che poi sta lì. La coerenza di dover comandare un ritmo e garantire una forma”
Ma ritmo e forma (quella che il poeta chiama “la cadenza”) non è una esclusiva del testo; tale nozione investe anche il movimento del corpo di colui che lo ha generato (evidente l’assonanza con l’action painting e la performance, pratiche che si andavano diffondendo nell’arte contemporanea in quegli anni). Nella seconda sezione infatti l’autore scrive:
“Que se constrói? Um texto ou um percurso? A intenção de um lado, resposta vaga, moral herdada. Do outro lado o curso da palavra, da resposta, o som e o gesto seguidos um ao outro, um som que aponta a um gesto que exige um son liberto, e o acto asim é já un bolbo de intenção segura, à revelia da emoção primeira.
Assim um gesto, quero dizer, um texto. Organizar o gesto como se fosse um texto. Aliterar os actos. Rimar, quando convém, o gesto e a intenção que se tributa ao rasgo”
“Che si costruisce? Un testo o un percorso? L’intenzione da una parte, risposta vaga, morale ereditata. Dall’altro il corso della parola, della parola, della risposta, il suono e il gesto seguiti uno dall’altro, un gesto che esige un suono liberato, e l’atto così è già un bulbo di intenzione sicura, che prescinde dalla prima emozione.
Così un gesto, voglio dire, un testo. Organizzare un gesto come se fosse un testo. Allitterare gli atti. Rimare, quando è il caso, il gesto e l’intenzione che si attribuisce a uno strappo”
Ma ecco che, come nota il poeta, sorge un conflitto tra la forma, il rigore della struttura, la norma e l’urgenza dell’emozione. Egli infatti, nella terza sezione, scrive:
“Assentos, tempos. A urgência de um sinal que a emoção comanda. A emoção de urgência anterior à norma: tradução.”
“Posti, tempi. L’urgenza di un segnale che l’emozione comanda. L’emozione dell’urgenza che precede la norma: la traduzione”
Ma ecco che nella quarta sezione, l’ultima, il conflitto tra ragione e sentimento, tra quella che il poeta definisce “Ragione dell’immagine” ovvero la “ragion d’essere di un suono” che in qualche modo si impone al poeta (l’autore stesso la definisce: “la costruzione che impone quello che si vuol dire”) e “l’urgenza di un segnale che l’emozione comanda”, si ricompone e si risolve.
“Não há lugar achado
sem lugar perdido.
Casam-se além, as falas de um lugar,
no encontro da memória
com a matriz”
“Non c’è un luogo trovato
senza un luogo perduto.
Si spostano oltre, le parole di un luogo,
nell’incontro della memoria
con la matrice”
Ruy Duarte de Carvalho sembra suggerire che la fine del contrasto tra ragione e sentimento, tra il rigore della forma e “l’urgenza di un segnale”, è possibile mediante uno “spostamento” del senso in un luogo “altro” nel quale il tempo e il corpo trovano una loro perfetta sintesi:
“Os tempos
do poema
são a final batidas
da cadência
de que se faz o corpo
do poema”.
“I tempi
della poesia
sono alla fine battuti
dalla cadenza di cui si fa il corpo
della poesia”

Dopo aver conseguito il dottorato con una tesi sui pescatori dell’isola di Luanda, è stato professore universitario, ha insegnato all’Università di Luanda ed è stato professore ospite all’Università di Coimbra e di San Paolo.
Nel 1982 realizza un pioneristico esercizio di traduzione/appropriazione della grande tradizione lirica orale nelle diverse lingue indigene africane
È autore anche di opere di narrativa (Come se il mondo non avesse Oriente, 1977 e 2003), Vou lá visita pastores (“Vado a visitare i pastori laggiù” – 1999), un vasto affresco sui kuvale, una società pastorale nel sud-ovest dell’Angola, adattato per il cinema (Os Papéis do Inglês – 2000).
Oltre all’attività letteraria, ha realizzato alcuni lungometraggi. Profondo conoscitore delle pratiche agricole e pastorali tradizionali, come regista e antropologo ha ambientato la sua ricerca nella regione etnoculturale di Kuvale, nel sud del paese, .
Nel 2010 è morto a Swakopmund, in Namibia.