MARZIA SPINELLI “La stagione è ancora questa” (Samuele)
nota di lettura di Fausta Genziana Le Piane

Marzia Spinelli, “La stagione é ancora questa”, Samuele Editore, 2025

nota di lettura di Fausta Genziana Le Piane.

 

Come pesci / cerchiamo   la conferma dello spazio / l’ossigeno…

Come sempre la poesia di Marzia Spinelli ci appare lucida e riflessiva. Senza infingimenti.

Nella sua ultima raccolta, La stagione è ancora questa, Samuele editore, 2025, sospesa tra cielo e terra, la poetessa cerca salvezza nella poesia, in queste poche povere parole:

I piedi sono pensiero:
un angolo a nord, rivolto al cielo,
l’altro a sud, riverso a terra. 

(Piano inclinato, p.29)

È una lotta senza tregua, quella del poeta, diviso tra Spleen et idéal (Charles Baudelaire), tra cielo e terra, tra angeli, santi e demoni. Così si muove Marzia: osserva ciò che la circonda, la ripetitività di ogni giorno, senza sosta, senza scampo, (il giorno sempre / uguale, le piccole cose da fare), tra le cose effimere, la terra che gira tenace, inesorabilmente e l’aspirazione a cercare e trovare nel cielo (Guarda al cielo…) la risposta. Ma c’è la poesia, cioè quella cosa bella che accorda nuovamente / qua e là il sogno al tuo reale.

Quel reale che dalla poetessa è vissuto come  claustrofobiche mura:

le infine ore cullate dalle mura a vedere gli anni che imbiancano

intonaco e capigliatura e le persone mutanti fisionomia

 

e pure si scoprono segreti belli, anime strane che scrivono

poesie, o affrescano vedute e panorami, se le incroci

 

oltre le mura hanno occhi e bocche differenti,

tanto dissimili i tratti svelati oltre la vernice, tante

 

le sfumature di anime che non ci stanno, non cedono

alle carte che volano o come foglie cadono

resistono…

(Sotterfugi, p. 26)

e Marzia non solo non ci sta e non cede, ma resiste.

E ancora:

Da mesi e mesi più non li contiamo
nel perimetro di casa
i passi   di stanza in stanza
cingono le mura   la casa
come bolla d’acquario come pesci
cerchiamo   la conferma dello spazio
l’ossigeno   il Tropico
nell’acqua dolce.  (p. 38)

a mio avviso una delle liriche più belle. Nello spazio chiuso che è la casa, ci aggiriamo passando ancor più da una stanza ad un’altra stanza cioè ancora una volta da uno spazio chiuso ad un altro spazio chiuso. E dopo, mura, stanza, arriva “tana” (…la mia stanza / ogni giorno più tana…). E noi pesci come in un acquario in cerca d’ossigeno…Bellissima immagine! Ma la poesia – vento al quale Marzia è avvinghiata – è la via di fuga. È la via impensata di salvezza. A mio avviso in questa raccolta l’importanza della poesia è suggerita dalla metafora del vento, presente quasi in ogni lirica: Il vento sferza la pelle e le ossa. (…) / Il vento se torna sconquassa. (…) / (p. 29) perché il gran vento è senza bussola (p. 24). Perché la poesia – vento pietoso – mescola le carte, scardina tutto – il falso movimento – e tutto ricompone per dare un senso alle cose, in un’adesione sottile al minimo gioire della vita (rare piccole gemme / qualche minuscolo bocciolo verde):

Odore di giornata nelle mani
e intorno annusiamo meraviglie
cercando l’essenziale…

(Rondini, p. 32)

Il vento è anche il simbolo della realtà, per cui la poetessa è tirata dal vento della poesia da una parte e da quello della realtà dall’altro, quella realtà che è vento in questo caso che batte forte d’inverno (ma anche la poesia batte forte), che sferza la pelle e le ossa (ma lo fa anche la poesia quando batte alla tua porta), che se torna sconquassa (idem la poesia). Questa realtà terribile (che pena l’uomo, il mondo sì malmesso!), ripetuta, senza scampo, questa realtà che è vento che sferza gelido le piante e non solo.

“Tutte le cose nobili hanno un’ombra di malinconia”, dice Herman Melville in Moby Dick e così è per la poetessa che guarda il mondo con malinconia, disincanto, attenta com’è alle leggi dell’esistere, pur tuttavia sapendo guardare anche oltre.

E quel vento che è la poesia porta con sé la luce: quanta luce c’è nelle poesie di Marzia!

(…)

a quel sole ci scaldiamo
noi e le nostre ombre
come poveri in fila in Miracolo a Milano,
al suo caldo cono rettilineo
in una luce trapassata, un bagliore
mai cessato, mai attraversato
se non in quell’istante di Bellezza, sfrontata (…)

(Il sole del Venti, p. 33).

Marzia, l’abbiamo detto, cerca il cielo, vuole puntare in alto, cerca la luce (notiamo che questo termine è presente quasi in ogni lirica), che sia la luce delle Perseidi o quella del Küchen Cucine o quella delle lanterne cinesi a Capodanno o ancora quella dell’infanzia a Oriolo (che a tratti inonda), la luce è cielo, altrove, Bellezza, notte di stelle.

Interrogarsi sul nostro destino condiviso, chiedersi dello scorrere del tempo, dell’oggi o del domani, del senso del ricordo e della memoria è ancora una volta essere umani:

Vite qua sedute

Ho messo l’orecchio sul tavolo
in cucina, a origliare la voce
del legno: l’eco di chi
animava i pranzi e le cene,
riaffiora pane e vino,
tagli, macchie, buchi
di tante vite qui sedute
sembrava non dovessero mai
andare via da quelle sedie lì intorno
solo per me danzano ancora
nel silenzio del legno
che vacilla   scricchiola di tarli
e di briciole, inquiete nell’addio.

(Vite qua sedute, p. 71)

una delle liriche più belle di tutta la raccolta a mio avviso: ecco a cosa serve la poesia, non buttiamola via, serve a darci l’ossigeno di cui abbiamo bisogno. Poesia di tutti o di nessuno, gli assenti non danzano ancora solo per te, Marzia, danzano anche per noi tutti. Danzano anche per me.

 

Marzia Spinelli (Roma, 1957) ha studiato Lettere Moderne e ha lavorato presso un ente pubblico dove si è occupata di formazione e comunicazione. É stata tra i fondatori della rivista Línfera, attiva a Roma tra il 2006 e il 2012, nella redazione della rivista Fiori del male e ha collaborato ad altre riviste di arte e letteratura. Ha curato rassegne di poesie per il Comune di Roma e per la FUIS (Federazione Unitaria Scrittori Italiani). Attualmente collabora in qualità di socia alle attività dell’A.P.S. Esquilino Poesia. È  presente in molte antologie e in diversi blog letterari; suoi testi sono stati pubblicati e commentati su riviste di critica quali Puntoacapo, Studi cattolici, Noi donne, Il Mangiaparole, Periferie; alcuni sono strati tradotti e pubblicati nella rivista romena Conta. Ha pubblicato: Fare e disfare (Lietocolle Editore, 2009), introduzione di Guido Oldani; Nelle tue stanze (Edizioni Progetto Cultura, collana Le Gemme, 2012), prefazione di Alberto Toni; nel 2014 l’e-book Nel cielo dell’altro un po’ più ampio (a cura di La Recherche.it Poesia condivisa 2.0.), prefazione di Mario Melendez; Trincea di nuvole e d’ombre (Marco Saya Editore, 2019), prefazione di Plinio Perilli; La stagione é ancora questa (Samuele Editore, 2025), prefazione di Anna Maria Curci

 

Fausta Genziana Le Piane, nata in Calabria, vive a Roma. Poetessa, narratrice, francesista, artista di collages, ha collaborato alla grammatica italiana comparata di Paola Brancaccio e adattato classici francesi per la scuola superiore. Tra le tante pubblicazioni di poesia ricordiamo: Incontri con Medusa, (Calabria Lett. Ed.), La notte per maschera, (Ed.Del Leone), Stazioni/Gares (in versione bilingue), Ostaggio della vallata,(Edizioni Tracce); raccolte di racconti, interviste a poeti, saggi critici tra cui  La meraviglia è nemica della prudenza, invito alla lettura de Larte della gioia di Goliarda Sapienza. Presente in molte antologie, attualmente cura la rivista bimestrale Kenavò da lei fondata.