MARIELLA DE SANTIS – nota di lettura a “La Cordialità” di Giansalvo Pio Fortunato e una lettera su “La cura di te e altre insistenze” di Tiziana Colusso

Per riprendere le pubblicazioni autunnali di FORMAFLUENS MAGAZINE, abbiamo voluto fare un esperimento, accostando due approcci diversi ad una stessa autrice, densa e di lungo corso, come Mariella De Santis. Troverete qui di seguito la nota di lettura di Giansalvo Pio Fortunato a La cordialità (Nomos Edizioni, 2014) , e una lettera di Tiziana Colusso all’autrice, riguardante La cura di te e altre insistenze (Collana Le Gemme diretta da Cinzia Marulli, Edizioni Progetto Cultura, 2025)

Su La Cordialità di Mariella De Santis

di Giansalvo Pio Fortunato

Caratteristica peculiare di La Cordialità (Nomos Edizioni) è il reggersi su un lessico quotidiano che lascia traspirare visuali disarmate e disarmanti. Mariella De Santis, infatti, lascia emergere le oggettualità quotidiane come se fossero segnaletiche di viaggio, architravi e proiezioni di un modo di indagare la vita e la sua mestizia. L’esistenza, così quotidianamente e umanamente rappresentata, si avvale di una certa diaristica minuziosa e di una saggezza non retorica, che lascia osservare la vita dall’interno; semplicemente.

Uno sforzo enorme, dunque, quello di Mariella De Santis. Uno sforzo che è, anzitutto, reso con estremo rigore e con importante compostezza testuale. Per compostezza testuale, preciso, non intendo certamente un corpo poetico vuotamente calibrato o un approccio ottemperante alla tradizione. Intendo, piuttosto, una versatilità flessuosa che caratterizza questi versi. Versi attentamente adempienti gli intenti contenutistici; versi aperti ad una manovrabilità poetica assai spiccata. Così, non è la forma di ciascun verso ad essere vittima del suo contenuto, ma si assiste ad un felice impianto che ottiene la poesia nella sua nettezza, nella sua verità. Mariella De Santis ha scelto la nitidezza del sentire e del presentare il mondo e questa stessa nitidezza è nella resa poetica, sempre molto aperta, sempre molto mantenuta nella sua trama dialogica, sempre volta alla generazione di un senso univoco suggerito dalle parole stesse. Non si assiste, insomma, ad una trascendenza pluristratificata, ad un sublimante ostico: è la chiarificazione della vita – o il suo mistero – messi su carta.

Dirò di più: ciò che colpisce di La Cordialità è la sua schiettezza. Mestizia del sentire di tutti i giorni chiama onestà nel dire poetico. È l’impianto di fondo, volutamente auto-rielaborante, che non ha alcun’altra pretesa che se stesso. Così, allora, non si finisce mai in architettati rovelli. Si è, perennemente, tra il dire poetico, il dire dialogico, la forza di un recitativo teatrale e la necessaria dose di riflessività poetica che, più che da vecchio saggio, è figlia dell’a-posteriori del modo di produzione artistico. In tal senso, con particolare coerenza, è lodevole la resa testuale di ciascuna sezione che, anche nell’impianto stilistico, mantiene un suo specifico dire, in una determinata architettura del verso, ed anche con un determinato lessico segnaletico di supporto ed un determinato corredo simbolico che mai viene smentito. Rimangono costanti comunque alcuni aspetti: l’uso programmatico e sistematico di un lessico quotidiano, che non si segnala solo negli ambienti suggeriti, ma anche nell’articolazione del verso che, talvolta, scivola anche nel dire quotidiano, nel formulario quotidiano; una ritmica reversibile e non univoca, data la rara presenza di pause punteggiate e date alcune scomposizioni di periodo o alcune ricostruzioni maggiormente liriche che, adeguatamente dosate, danno più profondità al testo; la significatività segnaletica di alcune figure (la folla, la metropolitana, l’estate solo per esempio) che forniscono un piano interpretativo molto solido, orientante il voler dire.

Dinanzi a questo impianto, ho come l’impressione che La Cordialità sia l’arte dello stare nel mezzo, composta come movimenti di dita concentriche sull’acqua, in una sottrazione di silenzi. C’è, infatti, un grandissimo rapporto di appartenenza tra questa raccolta e la sua autrice (il che è assai raro in poesia contemporanea) e c’è una delicata e sarcastica crudeltà che anima la voce poetica di Mariella De Santis. La pressione dell’esistenza ed il suo ombratile margine di manovrabilità sono resi con una limpidezza fulminante, come battute da snocciolare attraverso il loro retrogusto ossimorico. Perché è questo ciò che anche lascia quest’opera: un delicato, acidulo, sussurrato a far rizzare la pelle, concentrato di passi lasciati indietro, di amarezze confessate o di sommessi motivi esistenziali, che si incrociano in quella onestà di presentare, a cui già prima mi riferivo. Mariella De Santis si presenta per piccoli mattoni, senza mai egogravitarsi, pur attingendo totalmente dal proprio vissuto reale o chiaramente direzionato nel fittizio.

Si è in un’antropologia da nebbie, da spazi metropolitani, da salvezze su balconi, da tappeti riportati da viaggi, da fotografie, da pantofole e dentifrici. Un’antropologia – preciso – per la quale, credo, bisogna porre attenzione soprattutto agli eco-sistemi delle caratteristiche prima citate. È una narratività che cammina con qualche gobba, perché una vita fluidamente oscura o una vita fulminante e lucente, onestamente, non esistono. È un’antropologia da persona normale che vive un mondo normale e cerca di scorgerne rielaborativamente i sensi.

Credo sia necessario, in questo senso, oltre che ad una disposizione personale anche uno sforzo enorme. La poesia ci ha abituati ai miracoli, alle rese immaginifiche, alle cronistorie speciali. Arrivare, invece, all’osso ridotto, al cammino mesto e semplice è traguardo non da poco. Mariella De Santis lo raggiunge non scadendo nella retorica attesa. Lo raggiunge, piuttosto, scrivendo umanamente. Ed è necessaria tanta intenzione, tanto lavoro per dire le semplici cose poeticamente. Quelle rarissime volte, infatti, in cui il tono tende ad essere più solenne e la trattazione più rivolta ad una liricità sublimata, forse condizionati anche da una lettura d’insieme, si scorge come ci sia un leggero spostamento rispetto ad uno scheletro che funziona perché coerente col suo messaggio. Quando la penna vuole macchiare maggiormente, si scorge la sua ombra ingombrante. Perché Mariella De Santis è penna in controluce, penna riordinante, penna rimodulante. La materia di vita del verso è attinta; attinta quanto basta.

Come suggerisce, allora, adeguatamente il titolo di questa raccolta La Cordialità è, a mio parere, duplice. Cordialità della poesia e cordialità al mondo e del mondo. Cordialità, dunque, nella sua accezione relazionale, intendibile come di eleganza e di equilibrio rispetto alla mondanità e di eleganza e di equilibrio nel rendere poeticamente questa mondanità. Ma cordialità e, mi si permetterà questa ricostruzione più spiccatamente filosofica, di cordia-lità, di modo d’esistenza col cuore. Quando nel quotidiano si sostiene che si segua il cuore, è chiaro che ci si imbatte analiticamente in un non senso. Dunque – e credo Mariella De Santis ce ne abbai fornito un validissimo esempio – la cordialità si presenta come una visuale, come un atteggiamento, come un temperamento ermeneutico che fa rielaborare la vita in un certo modo e secondo determinate coordinate molto più corticali.

 

Risonanze per La cura di te e altre insistenze di Mariella De Santis (collana Gemme diretta da Cinzia Marulli, Edizioni Progetto Cultura 2025)

di Tiziana Colusso

Cara Mariella, il genere recensione non mi riesce più da tempo, non mi risuona il re-censire che a volte mi pare un censurare il fluire del testo e del pensiero in griglie critiche limitanti, il tempo stringe, la Storia ci stringe ai fianchi, leggo questa tua Gemma saltando tra le pagine, tornando a ritroso, sostando a lungo su singoli versi, facendoli risuonare nel corpo, nei denti, nella mascella serrata, nel respiro che la meditazione inizia a plasmare, nel ritmo bigemino del cuore, perfetto per una Gemelli, nei nervi infiammati, nel desiderio sempre vivo che abita caverne antiche, saline e saporose come quelle da te evocate.

Si, mi risuona proprio lì il tuo testo, in principio,  «alga marina protegge la tua salina/ io fuggo dall’incanto», «Ti sano con la bocca», e lasci intendere la Lingua maiuscola e la lingua carnale, che insieme creano cerimonie iniziatiche, e «Cresce nuova specie da questa iniziazione», la specie da te evocata risuona con il kin dell’euforia lessicale di Donna Haraway, il making kin, generare nuove parentele, nuove specie creaturali.

La tua voce poetica sale dalle caverne della carne, come quella di Nina Simone, e punta diritta a colpire il punto di congiunzione tra l’anima e il corpo, come ha magnificamente detto Simone Weil, che in una lettera raccontava di essere «abitata da un dolore situato intorno al punto centrale del sistema nervoso, nel punto di congiunzione dell’anima e del corpo».

Ogni corpo che si cura, di cui ci si prende cura, diventa il proprio, incameriamo per disperata empatia il dolore degli esseri amati, la loro inappetenza diventa la nostra, «l’arto mancante» è patrimonio comune, un arto fantasma – come quello evocato da Maurice Merleau-Ponty – che narra storie, con versi tutti iniziati dalla maiuscola, come asserzioni capitali, come nella lingua inglese: la lingua, le lingue, «parola per parola ti condurrò alla lingua».

Tu sai bene Mariella che «Siamo ossa muscoli fibra liquida materia» ma anche lingue, e sogni e ricordi d’infanzia che legano gli organi e le fibre in una trama, in essere dotato di senso e cammino, in una creatura modellata dal tempo e dal dolore, «clinicamente viva». Vita che inizia con una nascita di dolore e meraviglia, che prende forma nelle tue parole: «Eppure da una lunga tenebra / inizia il nostro viaggio, / un’umida sosta lacerata da grida, / segno per un mare d’acque feci e sangue /che s’apre e noi in breve /trattenuta caduta / liberi tra abili mani,/ con un sano pianto a salutare il mondo.» Il corpo che viene al mondo è già segnato dalla materia, dal dolore, ma anche dall’essere liberi, pronti al viaggio. Maternità come atto divino e maieutico: / Un dio che spalanca le cosce /contrae i muscoli della pancia / dei glutei, spinge e genera./ Un dio che dopo il parto / sfinito riposa e scivola nel sonno»

Al centro di ogni nascita c’è lei, la ferita feconda, – «valva, vulva, vagina vigna» – e tra la ferita della nascita e quella della morte c’è in mezzo tutta una vita vissuta o inventata, tutte le parole dette o taciute, e tutto alla fine converge in una sacra trinità: «PAROLA -MIRACOLO -SILENZIO»

foto di Dino Ignani

Mariella De Santis  è nata a Bari in un raro giorno di neve del 1962. Vive tra Roma e Milano. Il suo primo libro di poesia esce nel 1993, a seguito della segnalazione al Premio Internazionale Eugenio Montale. Ha pubblicato libri di poesia e testi di prosa, saggistica e realizzato videopoesie, l’ultima con Giuliana Laportella, nel 2023, Il nero e l’oro di Roma, per la rassegna organizzata dalla John Cabot University a cura di Cristiana Panella. Ha collaborato con Outis, centro nazionale di drammaturgia contemporanea quale drammaturga e per la consulenza poetica nelle rassegne Tramedautore. Ha lavorato con i musicisti di Novurgia per composizioni di musica classica contemporanea e scritto l’opera di teatro musicale Claude e Maurice con la musica di Marco Simoni. Collabora con radio nazionali ed estere, case editrici e artisti. È tradotta in arabo, inglese, spagnolo, croato, greco, rumeno e tedesco. La cordialità uscito nel 2014 (NOMOS Ed.), in edizione bilingue con traduzione in inglese di Anthony John Robbins,  raccoglie il lavoro di ricerca poetica dei precedenti otto anni e nel 2015 è stato ripubblicato per la terza volta Vinerotiche e altre delizie ( LEGGEREDIZIONI) libro poesie che legano eros e vino, agape e cibo. In prosa ha pubblicato il volume di microtesti narrativi Dodici piccole lune (Ulivo Ed) e LA MINISTERIALE e suoi racconti sono presenti nelle antologie Milano per le strade, Canti di  Venere,  Mia madre era, Il segreto manifesto, riviste e web. È stata redattrice di Manocomete, rivista ideata da Giancarlo Majorino, fondatrice e redattrice de Il Monte Analogo su invito di Giampiero Neri, vicedirettrice di Smerilliana, semestrale di civiltà poetiche ideata da Enrico D’Angelo. Oltre a diverse antologie, con Gilberto Finzi ha curato l’opera Omnia di Delfina Provenzali Menhir (2004) e collaborato al volume fotografico di Viviana Nicodemo Necessità dell’anatomia (2007). Nel 2024 ha tradotto le poesie di Anthony John Robbins per la pubblicazione postuma Il più vuoto possibile, collana Le Gemme. Nella stessa collana, il 2025 ha pubblicato La cura di te e altre insistenze che raccoglie tre suoi poemetti. È componente della Società Italiana delle Letterate e fatto parte dell’Azione letteraria Unite promossa da Giulia Caminito. Ha co-ideato Dromo, rivista per un terzo pensiero, di cui è vicedirettrice www.dromorivista.it   Scrive per tentare di metter ordine tra le cose senza smarrire il sorriso.