Jaime Gil de Biedma
Arte poética
La nostalgia del sol en los terrados,
en el muro color paloma de cemento
— sin embargo tan vívido — y el frío
repentino que casi sobrecoge.
La dulzura, el calor de los labios a solas
en medio de la calle familiar
igual que un gran salón, donde acudieran
multitudes lejanas como seres queridos.
Y sobre todo el vértigo del tiempo,
el gran boquete abriéndose hacia dentro del alma
mientras arriba sobrenadan promesas
que desmayan, lo mismo que si espumas.
Es sin duda el momento de pensar
que el hecho de estar vivo exige algo,
acaso heroicidades —o basta, simplemente,
alguna humilde cosa común
cuya corteza de materia terrestre
tratar entre los dedos, con un poco de fe?
Palabras, por ejemplo.
Palabras de familia gastadas tibiamente.
Arte poetica – traduzione di Lorenzo Pompeo
La nostalgia del sole sui terrazzi,
sul muro di cemento color colomba
– eppure così vivido – e il freddo
improvviso, che quasi sorprende.
La dolcezza, il calore delle labbra, da soli
in mezzo alla strada familiare.
Come in una grande sala dove sono accorse
folle lontane come esseri amati.
E soprattutto la vertigine del tempo
il grande abisso che si apre fin dentro l’anima
mentre in alto galleggiano promesse
che svaniscono, proprio come schiuma.
È senza dubbio il momento di pensare
che il fatto di essere vivo esige qualcosa,
forse eroismo – o più semplicemente
qualche umile cosa comune
la cui scorza di materia terrestre
maneggiare con un po’ di fede?
parole, per esempio,
parole di famiglia tiepidamente lise.
(da: Compañeros de viaje, Barcellona 1959)

Questa poesia fu pubblicata da Jaime Gil de Biedma in Compañeros de viaje, raccolta con la quale debuttò nel 1959. Nato a Barcellona, città nella quale visse tutta la vita, in una famiglia dell’alta borghesia nel 1929, Gil de Biedma fu una delle figure più importanti nella poesia spagnola tra la fine degli anni ’50 e i ’60, noto e amato nel circolo di letterati della sua città (la cosiddetta “Scuola di Barcellona”), amico di Carlos Barral (editore e poeta, personalità di primissimo piano nella scena letteraria e nella vita culturale di quegli anni, Gil de Biedma ne condivideva la formazione cosmopolita, l’origine altoborghese, oltre all’orientamento antifranchista). Arte poética può per certi versi essere considerata un manifesto della sua poesia, caratterizzata da un tono colloquiale attraverso cui l’autore compie un impietoso e sofferto esame di coscienza, cosa che implica un rifiuto di qualsiasi decorazione lirica o fuga in surrealistiche finzioni. Al centro della sua poesia c’è l’individualità dell’autore stesso, il quale convisse tutta la vita con un acuto senso di colpa nei confronti del suo status altoborghese. Quando il poeta rievoca la sua infanzia dorata e privilegiata, lo fa con uno sguardo consapevolmente malinconico e dolente, allo scopo di mettere in risalto il suo disagio e la precaria condizione esistenziale. Le sue convinzioni politiche furono di sinistra, ma la richiesta di entrare nel Partito Socialista catalano venne respinta per via della sua omosessualità (la quale traspare in modo abbastanza evidente anche nelle sue poesie). Ciò malgrado, il suo orizzonte ideologico fu chiaro ed esplicito, anche se filtrato attraverso un’amara consapevolezza personale che gli precluse ingenue fughe nei mondi dell’utopia socialista. L’intelligenza corrosiva di cui era evidentemente dotato ebbe la meglio anche sulla poesia. Per questo motivo, a partire dal 1974, quando ormai era un autore noto, smise di scrivere poesie, dichiarando che ormai non aveva più nulla da dire. Per tutta la sua vita Gil de Biedma rimase sempre fedele alla dichiarazione di poetica degli esordi, a quelle sue “parole di famiglia tiepidamente lise”, una poetica apparentemente umile e modesta, aliena da ogni artificio poetico. Ma proprio la nudità delle ragioni più intime ne costituisce la sua grande forza. Gil de Biedma non fu un letterato di professione (per vivere lavorò a lungo presso la Compagnia generale del tabacco delle Filippine di cui il padre era direttore). Anche per questo la sua onestà intellettuale è un dato innegabile, che si rispecchia anche nelle sue poesie. Arte poética segna l’inizio di una avventura intellettuale che finirà nel silenzio e nella più completa sfiducia nei confronti della stessa poesia al termine di un cammino lungo e il più delle volte dolente. Morirà di AIDS nel 1990 all’età di sessanta anni al termine di una vita vissuta intensamente.
Julia Hartwig
TO CO PRZEVYLIŚMY RAZEM
niezapisane
wspomnienia wię̨dną
jak nieuprawiany ogród
wszystkie te pytania
zostały bez odpowiedzi
i te ciemne dni
i wszystkie te błyszczące jeszcze w słońcu
szczątki niezapisanej mowy
odpływa strumień nikogo nie zasmucając
samotność uczuć zachwytu i żalu
to co wewnę̨trzne – nieznane
i sprzeczne z wypowiedziami
klarownym ję̨zykiem
CIÒ CHE ABBIAMO VISSUTO INSIEME – traduzione di Lorenzo Pompeo
Se non trascritti
i ricordi svaniscono
come un giardino incolto
tutte quelle domande
rimaste senza risposta
e quei giorni bui
e tutti quelli che ancora splendono al sole
i brandelli di una lingua non scritta
un rivolo che scorre senza intristire nessuno
la solitudine delle sensazioni di meraviglia e rimpianto
ciò che è interiore – sconosciuto
e contrario alle dichiarazioni
nel linguaggio chiaro
LATO ZAPŁONĘŁO I ZGASŁO
powoli się ̨ odsłania pogorzelisko jesieni
w dymie i mgle
jaka to przestrzeń bez końca
od zachwytu światem
do gę̨stej grozy nocy
Ten złoty pas Wenecji
niebo pochmurne
i różowy koral Palazzo Ducale
Dzień pię̨kny i samotny
Wierzę że obdarowano mnie jak trzeba
kiedy indziej że dano mi wię̨cej niż zasłużyłam
stąd duma i niepokój
ile straciłeś i co zaniedbałeś
Nigdy nie opuszczać ́ głę̨bi
i trwać w dialogu z mrocznymi siłami
L’ESTATE SI È ACCESA E SPENTA – traduzione di Lorenzo Pompeo
lentamente si rivelano le ceneri dell’autunno
nel fumo e nella nebbia
che spazio senza fine
dalla meraviglia del mondo
alla densa minaccia della notte
Questa cintura d’oro di Venezia
il cielo nuvoloso
e il corallo rosa del Palazzo Ducale
Una giornata bella e solitaria
Credo che sono stata gratificata meritatamente
altre volte che mi è stato dato più del dovuto
da qui l’orgoglio e l’ansia
quanto hai perso e cosa hai tralasciato
Non abbandonare mai le profondità
e continuare a dialogare con le forze oscure
Da: Julia Hartwig, Sguardi, Collana Poesia, Elliot, Roma 2024, traduzione di Lorenzo Pompeo
Il volume in questione presenta per la prima volta al lettore italiano le ultime due raccolte di poesia della poetessa polacca Julia Hartwig, scomparsa nel 2017, Zapisane (in it. “scritti”, Cracovia 2013) e Spojrzenia (in it.: “Sguardi”, Cracovia 2016). Le due raccolte in questione raccolgono quindi l’eredità della poetessa e chiudono la sua creazione poetica; in esse l’autrice poté tracciare un bilancio di un percorso artistico e umano intenso, ricco di incontri e di esperienze e, nello stesso tempo, condurre una serena riflessione sugli eventi storici e sulle grandi trasformazioni che aveva appena affrontato il suo paese.
Julia Hartwig è nata a Lublino nel 1921, figlia del fotografo Ludwik Hartwig e Maria Birjukow (sorella di Edward, uno dei più importanti fotografi polacchi). Ha studiato al Ginnasio Unii Lubelskiej nella città natale (diploma di scuola superiore nel 1939). Nel 1936 apparse la sua prima poesia su una rivista scolastica. Durante la seconda guerra mondiale, fu ufficiale di collegamento dell’Armja Krajowa, e prese parte alla vita culturale clandestina. Studiò polonistica e romanistica all’università clandestina (1942-1944) e nell’immediato dopoguerra all’ateneo di Varsavia (1946) e all’Università Cattolica di Lublino. Negli anni 1947-1950 soggiornò in Francia, dove fu borsista del governo francese e funzionaria del dipartimento di cultura dell’Ambasciata polacca. Negli anni 1970-1974 ha vissuto negli Stati Uniti, partecipando all’International Writing Program. È stata docente alla Drake University. Ha tradotto in polacco le opere di Guillaume Apollinaire, Allen Ginsberg, Max Jacob, Blaise Cendrars, Pierre Reverdy, Marianne Moore e William Carlos Williams.
Nel 1996, dopo la scomparsa del marito Artur Międzyrzecki si aprì una nuova fase nella vita della poetessa: la scrittura diventa per lei un rifugio nel quale ha la possibilità di sviluppare la sua creazione letteraria verso una forma “sospesa” tra prosa, poesia, aforisma e diario. Nei componimenti di questo periodo si alternano liberamente i registri gnomico (aforismi), narrativo (legati perlopiù a ricordi) e lirico, in un linguaggio conciso ed essenziale che delinea i contorni di un territorio nel quale la memoria, la natura e la cultura tendono alla costruzione di un utopistico quanto malinconico “eden senile” dominato dalla pace dei sensi, nel quale etica ed estetica vorrebbero apparire finalmente conciliate; questo desiderio, che non trova realizzazione né soddisfazione, continua a tormentare e a spingere la poetessa alla sua incessante ricerca fino alla fine dei suoi giorni.
La poetessa si è spenta nel sonno il 13 luglio 2017 a Gouldsboro mentre soggiornava presso la figlia in Pennsylvania. Le due raccolte di poesia qui presentate, sono caratterizzate da una straordinaria nitidezza racchiusa in componimenti che tendono verso una essenziale brevità. La chiusura dell’ultima poesia, dal titolo L’estate (ambientata a Venezia) conclude come meglio non si potrebbe una vicenda umana e intellettuale unica come quella di Julia Hartwig: “Non abbandonare mai le profondità / e continuare a dialogare con le forze oscure”.
Jean Sénac
Au lecteur
Si je travaille franc je me donne un poème
que vous pouvez surprendre si vous l’aimez
ce n’est pas un appât mais un pas vers vous-même
et ma soigneuse main dans votre main cachée.
Le soin que l’On a mis à me passer le thème
la coque et les marins je peux en témoigner
je fus vif et précis, la transparence même
mais l’Ordre d’où vient-il et qui peut le nommer
Est-ce un plaisir de Dieu les mots de l’origine
le courant de nos morts ou des consciences-clés
le chant profond des foules à ce point concentré?
Devant l’espace clair et la présence grise
rien ne répond au cri dévergondé
voici donc ô lecteur un chemin que je signe
mais suis-je seul à l’avoir dessiné?
Al lettore – traduzione Lorenzo Pompeo
Se lavoro onestamente mi offro una poesia
che potete cogliere se l’amate
non è un’esca ma un passo verso voi stessi
e la mia mano curata nascosta nella vostra mano.
La cura che Si è messa nel passarmi rotta
scafo e marinai, posso testimoniare,
fui vivace e preciso, la trasparenza stessa,
ma l’Ordine da dove viene e chi può designarlo?
Sono un piacere di Dio le parole sulle origini,
la sequela dei nostri morti o delle coscienze-chiave,
il canto profondo delle folle, così concentrato?
Davanti allo spazio chiaro e alla presenza grigia
nulla risponde al grido svergognato
ecco dunque, o lettore, un cammino che indico,
ma sono il solo ad averlo immaginato?
(tratta da: Jean Sénac, Per una terra possibile, Oltre edizioni, Sestri Levante 2019, pp, 436-437)
Cos’hanno in comune Pier Paolo Pasolini, Federico García Lorca e Jean Sénac (1926-1973)? Semplice: la morte tragica inferta da una mano anonima al servizio di un potere che non tollerava un poeta omosessuale. Difatti la figura del poeta algerino di lingua (e cultura) francese viene spesso accostato alla figura di Pasolini. Anche se a dire il vero poco altro li accomuna (Pasolini venne assassinato due anni dopo). Di sicuro Sénac conosceva e apprezzava molto la poesia del granadino, che lesse in lingua originale, dal momento che sua madre era spagnola. Jean Sénac era nato a Béni-Saf, piccolo porto a un centinaio di chilometri da Orano. Non conobbe suo padre (il cognome lo prese dal patrigno francese, dal quale la madre divorzierà nel 1933). Questa circostanza ebbe un peso rilevante nella sua biografia. Dopo la nascita illegittima del figlio, la madre si trasferì a Saint-Eugène, un popolare quartiere ebraico. Quella del poeta fu un’infanzia povera e devota all’ombra di una madre fervente cattolica, ma in un continuo contatto con le immagini delle altre due grandi religioni monoteiste. Questo sincretismo sarà la base di quel “cosmopolitismo mediterraneo” che caratterizzò la sua successiva produzione poetica. Nel 1942, a sedici anni, pubblica la prima poesia su una rivista ma le sue poesie successivamente appaiono più mature grazie alle letture di questi anni: i poeti decadenti, e soprattutto Paul Verlaine, che sarà il modello a cui si ispirò. Nel 1943 ottiene il brevetto d’insegnante primario e, nello stesso anno, fondò insieme a due amici d’infanzia l’Association des poètes obscurs. Al 1946 risalgono le prime letture di Federico García Lorca e, più o meno in questo periodo, di Albert Camus, che avrà modo di conoscere personalmente qualche anno dopo. Al 1947 risale l’inizio di una corrispondenza con lo scrittore francese, che sarà una figura determinante nella biografia intellettuale del poeta franco-algerino. Camus lo presenta qualche anno dopo con René Char e, al partire dal 1949, i due poeti cominciano a scriversi. In quell’anno Char patrocinò la pubblicazione di alcune poesie di Sénac sulla rivista «Empédocle». L’anno successivo i due si incontreranno a Marsiglia. Successivamente il poeta franco-algerino si trasferì a Parigi, dove sotto la protezione del suo amico Camus (lo aiutò finanziariamente e si adoperò per trovargli un lavoro) visse un paio di anni. Nel 1952 tornò ad Algeri. Sono gli anni in cui cova il conflitto tra le autorità francesi e i partitari dell’Indipendenza dell’Algeria. Sénac si avvicina agli ambienti nazionalisti, nei quali dall’anticolonialismo si stavano formando le basi di quelle rivendicazioni nazionali fatte proprie dal Front de Libération Nationale nel corso del lungo conflitto armato che insanguinò il paese tra il 1954 e il 1961, anno in cui con gli accordi di Évian misero fine al conflitto armato con la proclamazione dell’Algeria indipendente. Sempre nel 1954 Gallimard pubblicò Poèmes, la sua prima raccolta di poesie con la prefazione di René Char in una collana diretta da Albert Camus. A partire dal 1955 il suo impegno per la causa algerina sarà aperto e si rifletterà direttamente anche nella sua creazione poetica. Sénac diventa a partire da questa data un poeta “engagée” a tutti gli effetti. Al 1957 risale l’ultimo incontro con Camus. Emergono i primi dissidi tra i due per la diversa posizione in merito al conflitto franco-algerino che porteranno, l’anno successivo, a una clamorosa rottura. In quegli anni segnati dal conflitto armato il poeta è spesso in Francia o in Spagna, ma a partire dal 1962, subito dopo la fine della guerra, tornò stabilmente in Algeria. Negli anni successivi al suo ritorno ebbe cariche ufficiali: fu nominato consigliere del Ministero della Pubblica Istruzione, partecipò nel 1973 alla fondazione dell’Unione degli Scrittori algerini della quale sarà il segretario fino al 1967. Tuttavia con il colpo di stato di Houari Boumédiène, nel 1975, cessò ogni forma di collaborazione con le istituzioni governative. Sénac fu anche un instancabile promotore delle nuove tendenze dell’arte in Algeria: fondò nel 1954 una galleria d’arte, la Gallerie 54, che esisterà per un anno, nella quale organizzò una collettiva nella quale fu presentato un raggruppamento di pittori, i Peintres du signe. Allo stesso modo curò un’antologia di poeti algerini francofoni nella Anthologie de la nouvelle poésie algérienne del 1971. Tuttavia i rapporti con le autorità, a partire dal 1965, si deteriorano e anche le condizioni materiali del poeta si fecero più difficili. Fino alla notte tra il 29 e il 30 agosto, quando una mano ignota pose fine alla vita del poeta nello scantinato nel quale si era trasferito. La figura di Sénac è emblematica di una engagment legato a una particolare epoca. La sua poesia è prima di tutto l’espressione di un modo di essere. La figura del poeta rivoluzionario, di lontana (ma non troppo) ascendenza romantica, nell’accezione decadente, è la radice della sua poetica. L’enfasi che caratterizza i suoi versi ne è il limite e la forza, a seconda dei punti di vista.
José Emilio Pacheco
Crítica de la poesía
He aquí la lluvia idéntica y su airada maleza
La sal, il mar deshecho…
Se borra lo anterior, se escribe luego:
Este convexo mar, sus migratorias
y arraigadas costumbres
ya sirvió alguna vez para hacer mil poemas.
(la perra infecta, la sarnosa poesía,
risible variedad de la neurosis
que algunos hombres pagan
por no saber vivir,
La dulce, eterna, luminosa poesía).
Quizá non es tiempo ahora:
nuestra época
nos dejó hablando solos.
Critica della poesia – traduzione di Lorenzo Pompeo
Ecco la pioggia identica e gli adirati roseti
Il sale, il mar disfatto…
Si cancella tutto e poi si scrive:
Questo convesso mare e le sue migratorie
e radicate tradizioni
è già servito per mille altre poesie.
(La cagna infetta, la rognosa poesia,
ridicola varietà della neurosi,
prezzo che qualche uomo paga
per non sapere vivere,
La dolce, eterna, luminosa poesia)
Forse non sono i tempi adesso:
la nostra epoca
ci ha ridotti a parlar da soli.
(da: Giovani poeti dell’America centrale, Messico e Antille, Einaudi, Torino 1977, pp. 176-177)
Poco si sa della biografia di José Emilio Pacheco, poeta, prosatore, saggista e giornalista messicano scomparso nel 2014, essendo stato una persona sempre molto riservata (alle domande relative alla sua vita privata rispondeva sempre malvolentieri). Nacque nel 1939 a Città del Messico, suo padre era avvocato, ma di modeste origini, che aveva combattuto nella Rivoluzione messicana del 1910. La madre invece proveniva da una famiglia conservatrice cattolica di uomini d’affari. Una grande influenza sul piccolo José Emilio lo ebbe la nonna da parte di madre, che gli aveva trasmesso la passione per la lettura e per la scrittura (in una intervista dichiarò che le prime prove di scrittura risalgono all’età di otto anni). Si iscrisse all’Università autonoma del Messico nel 1957, dove studiò giurisprudenza e letteratura spagnola. Nello stesso anno entrò nella redazione del supplemento letterario «Estaciones» e da allora cominciò a pubblicare su diversi quotidiani e riviste recensioni letterarie e saggi (affiancò una intensa attività giornalistica alla sua creazione letteraria per tutta la vita). Nel 1958 uscì una raccolta di suoi racconti brevi dal titolo La sangre de Medusa, mentre la sua prima silloge di poesie Los elementos de la noche. Poemas uscì nel 1963, e rivelò una voce poetica introspettiva, analitica. I principali temi di questa raccolta erano il tempo, l’essere, la natura e la poesia stessa che verteva sulla scoperta degli elementi più elementari della vita umana. Il mare, la spiaggia, il sole e il vento, i classici quattro elementi, aiutano il poeta a esplorare i misteri del tempo in testi che non sfuggono alle domande fondamentali della condizione umana, il dramma dell’uomo, visto però con un suo sguardo ironico e distaccato. Sempre nel 1963 uscì il suo secondo libro di racconti brevi, Viento distante, che uscì in una seconda edizione riveduta e ampliata nel 1969 ed è stata tradotta e pubblicata anche in Italia nel 2014.
Nel 1964 morì suo padre e nello stesso anno José Emilio lasciò l’Università e si sposò con Cristina, anche lei scrittrice e giornalista. Nel 1966 uscì El reposo del fuego, un lungo poema diviso in tre parti che secondo la critica rispecchia le turbolenze degli anni ‘60 in Messico. Lo spazio urbano di Città del Messico è il protagonista di questa raccolta, nella quale l’autore ripercorre le tappe della sua storia dalla fondazione azteca nell’isola del lago Texcoco passando per il periodo coloniale fino ai tumultuosi anni ‘60. La città è ritratta come in luogo in equilibrio tra opposte tensioni, dalle sue fragili fondamenta geologiche fino alle divisioni culturali, antropologiche e religiose che minacciano da sempre di esplodere in modo violento. Nel 1966 collaborò con Octavio Paz alla redazione dell’antologia Poesía en movimiento: Mexico 1915-1966. La repressione violenta della manifestazione studentesca a Tlatelolco nell’ottobre del 1968 marcò una svolta anche nella sua creazione letteraria, testimoniata dalla raccolta No me preguntes cómo pasa el tiempo (poemas 1964-1968) nella quale l’impegno politico trova un crescente spazio anche nella sua creazione letteraria (la raccolta si chiude con una commemorazione del massacro degli studenti). Allo stesso tempo vi è una sezione di questo libro, intitolata Cancionero apócrifo nel quale sono protagonisti gli animali che, seguendo il filone della tradizione esopica, rappresentano allegoricamente comportamenti umani. Accanto all’impegno politico-ideologico, nelle poesie di Pacheco non manca mai un certo humor raffinato, ma non innocuo, certo graffiante sarcasmo che sarà parte importante della sua poetica. I suoi due successivi libri di poesia Irás y no volverás del 1973, e Islas a la deriva, pubblicato nel 1976, furono in parte una continuazione dei temi e dello stile della raccolta del 1968. Riferimenti alla contemporaneità, insieme alla metapoesia, intertestualità, componimenti incentrati sul tema del tempo, testi in costante dialogo con con la tradizione letteraria.
José Emilio Pacheco, oltre che saggista e giornalista, fu anche traduttore di poeti con i quali sentiva una qualche affinità. Sosteneva che il traduttore era il creatore di un’opera differente da quella originale. Spesso nelle varie edizioni presentava delle nuove versioni delle poesie che aveva precedentemente pubblicato e a volte inseriva citazioni più o meno evidenti di poesie di altri autori. La sua creazione letteraria consisté in una costante ri-scrittura di quanto aveva scritto lui stesso o altri prima di lui, secondo i principi estetici e i canoni del post-moderno. La lingua di Pacheco è sempre stata fedele a un principio di chiarezza e trasparenza. Come giustamente nota Stefano Bernardinelli, suo traduttore, «La lingua di Pacheco è certamente il prodotto di un particolare momento della cultura letteraria ispanoamericana. Secondo la nota formula di Samuel Gordon, “i poeti non cantano più, ora parlano”. ma le esigenze di chiarezza e di comunicabilità nascono anche dall’incontro della poesia con gli altri “mestieri” dell’autore: il narratore, il saggista, il giornalista. E a questa esigenza niente viene sacrificato in termini di eleganza e forza delle immagini» (da: Nota sull’opera di José Emilio Pacheco e sulla traduzione, in: Gli occhi dei pesci. Poesie 1958-2000, Medusa, 2006 Milano, p. 147). La smitizzazione della figura romantica del poeta così come appare nella citata Critica della poesia è parte fondamentale della sua poetica. Scrive a proposito il critico Mario Benedetti: «C’è parimenti in Pacheco una ricorrente incertezza sulla sua funzione come poeta e anche sulla condizione basilare, insostituibile della poesia. Tutto espresso con una sincerità tale, da non suscitare nel lettore neppure il minimo sospetto che si possa trattare di un’abile maschera autocritica. Il poeta si mette in discussione, tra le altre cose perché lo fa con tutto: il mondo, la vita, il potere, la morte» (da: La poesia aperta di José Emilio Pacheco, in: Gli occhi dei pesci. Poesie 1958-2000, Medusa, 2006 Milano, p. 149-150).