DALILA HIAOUI intervistata da Giansalvo Pio Fortunato

Fin dal mio primo incontro con Dalila Hiaoui, ho compreso quanto fosse implicito e radicale il senso di incombenza nella trasmissione di un tutto da una lingua ad un’altra. Ed è questo ciò che fa la nostra poeta, quando è chiamata a e tradurre dall’arabo, sua lingua madre, all’italiano, sua lingua di adozione, suoi testi poetici o testi poetici di altri. A dire il vero, ho percepito tale sensazione soprattutto quando Dalila ha compiuto l’esercizio inverso, riuscendo a calare in uno scheletro armonico e linguistico diverso tutta l’intensità del testo originale italiano: è stato davvero sorprendente ed edificante.

Per questo, oggi, la intervistiamo affinchè ci descriva la sua lunga esperienza traducente e la complessità di un lavoro, quale la traduzione rappresenta, cruciale per la costruzione di una rete poetica sempre più variegata e complessa.

 

 

Una prima domanda, che può sembrare di routine ma non lo è! Mi affascina spesso capire, non essendo un traduttore, come mai alcuni poeti decidano di tradurre; quindi di compiere una discesa entro un corpo altro. Perché, quindi, hai scelto di intraprendere la strada della traduzione?

La decisione di dedicarmi alla traduzione è nata dal desiderio di esplorare e connettere culture diverse attraverso il linguaggio della letteratura: poesia, storie per bambini, teatro, ect . Trovo che il processo di traduzione sia un modo affascinante per esplorare le sfumature linguistiche e culturali, e per rendere accessibili opere significative che altrimenti resterebbero confinate in una sola lingua.

 

 

Primo libro bilingue (arabo-cinese) con poesie scelte del candidato Premio Nobel, dott. Shein

 

 

Il compito fondamentale di chi traduce è, anzitutto, la capacità di riuscire a rendere corrispondenti due corpi linguistici e due culture (quella di partenza e quella di arrivo) che possono essere anche profondamente difformi. Nel dettaglio: la lingua e la cultura italiana e la lingua e la cultura araba sono tra loro molto distinte. Quanto diviene difficile riuscire a far sì, in una traduzione, che questi due mondi possano tra loro mai avere il sopravvento l’uno sull’altro, ma mantenere un delicato equilibrio? Esiste un equilibrio nel contatto poetico tra due lingue distinte?

La sfida principale nella traduzione tra lingue così diverse è mantenere un equilibrio delicato tra fedeltà al testo originale e comprensibilità nel contesto di arrivo. È un processo che richiede sensibilità verso le differenze culturali e linguistiche, cercando di trasmettere il significato e l’emozione senza tradire l’essenza poetica originale.

 

 

Rappresentando le lingue unità con referenze implicite fortissime, insite a modi distinti di vivere e di percepire l’esistenza ed il quotidiano, immagino capiti spesso di trovarsi dinanzi ad espressione “irriportabili”; cioè ad espressioni la cui resa in altra lingua è insufficiente o non esaustiva rispetto alla forma originaria.  Questa è la prima forma di “tradimento” che si applica alla traduzione. Chi traduce, allora, come riesce a superare questa difficoltà oggettiva del trapasso in un’altra lingua/cultura? E come riesce a far sì che i lettori possano recepire ed apprendere fenomeni (culturali, poetici) a loro estranei? È possibile, fino in fondo, quest’apprensione?

Affrontare le “espressioni irriportabili” è uno dei compiti più impegnativi del traduttore. È essenziale avere una profonda comprensione sia della lingua d’origine che di quella di arrivo, così come una sensibilità per le implicazioni culturali. Spesso si ricorre a strategie creative per trovare un equilibrio tra fedeltà al testo originale e comprensibilità per i lettori nella nuova lingua, cercando di rendere accessibili concetti e immagini che possano risultare nuovi o inusuali per loro.

 

Creare una traduzione significa soprattutto avere un rapporto personale con l’autore che si traduce, cercare soprattutto di ricostruire i segnali latenti che, nella forza poetica, sono trasmessi attraverso lo scheletro di ciascun verso. Quanto è importante, allora, per una traduzione “fedele”, un atteggiamento di totale apertura anche psicologica, emotiva ed empatica rispetto a ciò che si insinua nella lettura di un testo poetico e, quindi, verso una ricostruzione indiretta del vissuto del poeta tradotto? Cosa si intende, secondo te, per traduzione fedele?

Una traduzione “fedele” non è solo una questione di precisione linguistica, ma implica anche un’intima comprensione dell’autore e del suo mondo emotivo e culturale. È necessario un atteggiamento empatico e aperto per cogliere le sfumature non esplicite di un testo poetico e per trasmettere il suo impatto emotivo e estetico nel modo più autentico possibile nella nuova lingua.

 

 

 

 

 

 

Dalila Hiaoui è poetessa e scrittrice Marocco-Italiana. Nata a Marrakech, riesiede a Roma. E’ staff member dell’ONU a Roma dal 2006. Ha pubblicato come “author/co-author” 47 libri (romanzi, poesie pieces teatrali, manuali per imparare la lingua e la cultura araba, storielle tradizionali per bambini). Le sue poesie in madrelingua sono state tradotte in italiano, inglese, cinese classico / mandarino, spagnolo, barbero, Nepali, bulgaro, turco, Bangali ed altre ancora. Manager della rivista culturale online “Dar Argana”, è docente in corsi online per l’insegnamento dell’arabo e sul digitale terrestre per le più prestigiose università telematiche. Dal 2017, organizza, insieme ad altre poete, carovane di solidarietà a favore delle scuole, per le popolazioni residenti nel Nord-Est del Marocco. Conduce, dal 2002, il salotto culturale multilingue “J’nan Argana”